Tutti sanno che cos’è lo stato dell’arte, il termine però viene usato in contesti diversi con sfumature diverse. Qui noi intendiamo lo studio di casi significativi, similari, del passato: non siamo all’anno zero, tante ottime cose sono già state fatte in passato, anzi tantissime, ed anche tanti errori, quindi parrebbe ovvio partire da quanto c’è di meglio ed evitare di ripercorrere trials & errors.

Ed ovviamente guardiamo anche al mondo contemporaneo, cosa fanno gli altri, così possiamo arrivare alle “best practises”, e al “miglioramento continuo”.

Un esempio recente: quanto sarebbe stato istruttivo, anzi prezioso lo studio dello stato dell’arte nella crisi pandemica?

A inizio febbraio 2020 mi capitò di leggere il titolo dell’intervista ad un famoso infettivologo, o meglio ad un infettivologo che diverrà poi famoso: stava studiando la peste del Trecento. La peste??? del Trecento??? Fu allora che iniziai a preoccuparmi seriamente di quello che avrebbero chiamato covid-19, quasi ci fossero altri 18 covid a perseguitarci, e preparare il mio piccolo personale piano pandemico.

È sempre necessario andare così indietro nello studio dello Stato dell’Arte? Certamente no, ma tutto può essere utile, basta guardare con attenzione invece che dall’alto. Dai miei ricordi liceali affiora che proprio durante quella pestilenza chi poteva lasciava la città e “sfollava” in campagna, magari a comporre il Decamerone, senza troppi distanziamenti… Sfollare si usa in guerra, tentare di sfuggire non al virus ma alle bombe lasciando le zone ad alta densità abitativa, nonché di bombardamenti, quali le città, per le campagne, semideserte.

Non so se il nostro, cioè l’infettivologo diventato famoso, abbia studiato anche la Peste del Seicento: ivi avrebbe scoperto che già allora a Milano avevano la mania di chiudere la gente in casa, financo murarla. Risultato: morì il 75% della popolazione. A Venezia presero misure meno drastiche, e morì “solo” un terzo. A Dubrovnik iniziarono con misure drastiche, poi si accorsero che al morbo si aggiungeva la fame, per non parlare dei commerci, ed elaborarono misure più articolate.

Non meno interessante sarebbe risultato lo stato dell’arte più recente, cioè il famigerato “piano pandemico”. Per non parlare delle best practises, cioè i provvedimenti, le misure prese dalle Nazioni che hanno avuto meno contagi e decessi, o dell’influenza “asiatica” del 1957: contagi e decessi paragonabili a quelli della prima fase, ma nessuna chiusura.

Ciò detto, arriviamo finalmente allo Stato dell’Arte delle vetture a 4 ruote motrici, come appariva nei primi anni ’80.

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